Manifestoteca

La Manifestoteca di Fondazione Alasca consiste in un corpus di circa 1.000 pezzi di materiali di diversa tipologia (manifesti di grande formato, affiches, spalle, lobby-card, fotobuste), raccolti nell’arco di un cinquantennio, che enti pubblici e privati, collezionisti, critici, autori, produttori e cineasti hanno scelto espressamente di affidare alla Fondazione perché venissero conservati, catalogati e resi disponibili per la fruizione pubblica. Oltre a importanti nuclei di afferenza geografica europea (Francia, Germania, Spagna, Italia) e internazionale (anche Giappone e Indonesia), la manifestoteca raccoglie tutto il materiale di affissione prodotto nel corso di una storia pluridecennale da Bergamo Film Meeting, Laboratorio 80 e Lab 80 film. Da una prima ricognizione sui materiali, è possibile individuare come punto di eccellenza della collezione i rari manifesti anni Sessanta, soprattutto dell’area Est europea (Russia, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia), realizzati da illustri cartellonisti (come i polacchi Wiktor Gorka e Jerzy Janiszewski – noto anche per essere il creatore del logotipo “Solidarność”) e curati dalle più rinomate scuole grafiche locali (ad esempio, le edizioni della Mokep-Magyar Hirdető di Budapest, leader nel mercato della produzione/distribuzione cinematografica ungherese). La particolarità di questi documenti è che talvolta si tratta di edizioni straniere di film italiani, come il caso dell’edizione ungherese di Straziami ma di baci saziami (1968) di Dino Risi o l’edizione, sempre ungherese, questa volta di un film francese, Le gendarme se marie (1968) di Jean Girault. Tra i manifesti italiani del Fondo, vi sono inoltre anche alcuni pezzi firmati da Pier Paolo Scalera – apprezzato illustratore, noto per essere l’autore della locandina di New York, New York (1977) di Martin Scorsese – e Renato Casaro, di cui ALASCA conserva le fotobuste del film The Osterman Weekend (1983) di Sam Peckinpah. Tra le firme straniere, ricordiamo invece i nomi di Yves Prince, autore del manifesto di Hécate (1982) di Daniel Schmid, e Sarah Charlesworth, per il manifesto di Subway Riders (1981) di Amos Poe. Attualmente questi materiali (da qui in poi, per rapidità, definiti semplicemente “manifesti”) trovano sistemazione nei nostri magazzini, ancora privi di qualunque strumento di organizzazione e/o di recupero, spesso conservati impropriamente – anche per motivi di spazio. Il manifesto, che per molte ragioni è materiale “effimero” e di “difficile gestione”, soprattutto per le caratteristiche di fragilità e deteriorabilità, presenta problematiche anche più strettamente scientifiche in termini di trattazione catalografica, in mancanza di uno standard univoco.